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Moretti: «Le imprese si devono confrontare anche con la carenza di competenze qualificate»

Il nostro tessuto industriale è costituito per gran parte da piccole medie imprese, fiore all'occhiello per il territorio bresciano e con un alto potenziale di crescita, qualcuno dice persino «condannate a crescere». Ne abbiamo affrontato potenzialità e sfide con il presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro bresciani, Gianluigi Moretti, chiedendogli innanzi tutto quali sono i cambiamenti principali cui sono state sottoposte negli ultimi due anni e quali le difficoltà che si trovano ad affrontare.

Il presidente Gianluigi Moretti

«Il nostro tessuto imprenditoriale è caratterizzato da piccole e medie imprese e, aggiungerei, a conduzione familiare. La nostra provincia, a forte vocazione manifatturiera, è da anni il traino dell’economia lombarda e nazionale. In questi anni, caratterizzati da un’economia altalenante, la flessibilità tipica delle Pmi ha permesso loro di reagire prontamente ai continui cambiamenti e quindi di rimanere sul mercato mantenendo degli indicatori economico finanziari di tutto rispetto. Non sempre però il fattore dimensionale basta a determinare il successo di un’impresa. Oggi ci troviamo nuovamente di fronte ad una situazione economica avversa: il contesto geopolitico internazionale, i conflitti bellici e le relative conseguenze sui costi energetici uniti alla crisi dell’economia tedesca, alle tensioni nel Mar Rosso e alla profonda trasformazione a cui è soggetto il mercato dell’automobile rischiano di incidere su quello che le Pmi vivono. Le imprese del nostro territorio, in attesa dell’auspicata ripresa, si trovano a fare i conti con un rallentamento della produzione che gestiscono attraverso l’utilizzo della cassa integrazione guadagni ordinaria. I dati cig nella nostra provincia sono infatti in crescita, anche se le ore di cassa effettivamente utilizzate dalle aziende sono inferiori rispetto a quelle richieste. Le imprese, peraltro, negli ultimi anni non solo hanno dovuto confrontarsi con un’economia caratterizzata da alti e bassi ma anche con altri fenomeni nuovi. Mi riferisco alla carenza di lavoratori e di competenze qualificate, alle grandi dimissioni, alla poca capacità dell’impresa di trattenere i talenti, all’equilibrio tra persone e tecnologia e all’uso corretto dell’intelligenza artificiale, passando anche per i temi legati all’ambiente e alla diversità, all’equità e all’inclusione».

All’orizzonte si profilano dunque sfide sempre più complesse, dalla sostenibilità all'uso dell'intelligenza artificiale appunto. Come si muovono le Pmi sotto questo profilo e come si stanno organizzando? Quali rischi comportano queste sfide e quali strategie consiglierebbe e consiglia, dal suo osservatorio privilegiato?

«Il mercato del lavoro ha già iniziato a commisurarsi con le transizioni in atto»

«Il mercato del lavoro ha già iniziato a confrontarsi con le sfide e le transizioni in atto, quella ambientale e quella digitale in primis. Rispetto ai temi legati alla sostenibilità, ritengo che le imprese, in particolare le Pmi, siano ancora lontane dalla consapevolezza dell’importanza e della strategicità di tali temi. Le cause principali che rendono difficoltosa l’adozione di pratiche sostenibili sono fattori organizzativi, mancanza di competenze interne e costi di investimento. Serve inoltre, ed è forse il tema più delicato, un cambio di mentalità da parte degli imprenditori. Si apre quindi una stagione di nuove sfide anche per noi Consulenti del Lavoro che dovremo evolvere ed ampliare le nostre competenze in quest’ambito e contribuire, attraverso il rapporto di fiducia che ci lega alle imprese che assistiamo, a diffondere sensibilità e conoscenza verso la sostenibilità. Dovremo essere capaci di accompagnarle verso scelte ed investimenti in ambito ambientale, sociale e di governance spiegando loro i vantaggi e gli aspetti reputazionali. Vale a dire, il miglioramento della fiducia nei confronti degli stakeholder, un maggiore riconoscimento nel contesto socioeconomico e nella comunità in cui operano, una migliore capacità di fidelizzare i collaboratori e di attrarre nuovi talenti. In riferimento alla transizione digitale, le nuove frontiere tecnologiche incideranno, e non poco, su aziende e lavoratori. Esiste infatti la probabilità che l’Ai e la robotica portino alla delocalizzazione e alla trasformazione dei posti di lavoro, alla scomparsa di alcune professioni e alla nascita di altre. Per affrontare e governare tale cambiamento epocale, sarà importante farsi trovare pronti perché, se da una parte si dovrà sfruttare il potenziale offerto dalle nuove tecnologie per aumentare la produttività e migliorare la qualità del lavoro e dell’occupazione, dall’altra bisognerà scongiurare il rischio di un aumento delle disparità retributive e una riduzione dell’accesso ai sistemi di sicurezza sociale».

Il problema delle competenze, che spesso nelle Pmi mancano, come potrebbe essere affrontato?

«Quando si parla di mancanza di competenze, tralasciando il problema del calo demografico che porta sempre meno giovani nel mercato del lavoro, il primo tema da affrontare è quello dell’orientamento. Occorre rivedere il nostro sistema di orientamento, nel quale le famiglie giocano un ruolo fondamentale. Assistiamo al fenomeno per cui il mercato richiede determinate figure professionali mentre il nostro sistema ne prepara altre. È giusto aiutare i ragazzi a intraprendere percorsi corrispondenti ai loro desideri, ma lo è altrettanto tener conto delle reali attitudini. Chi ha la vocazione per discipline umanistiche va incoraggiato a seguire un percorso universitario adeguato mentre chi ha la vocazione per un lavoro manuale va indirizzato verso percorsi tecnici. È necessario quindi potenziare l’alternanza scuola-lavoro con tirocini curriculari più strutturati e duraturi e poi puntare sull’apprendistato. Ma senza dimenticare di analizzare le professionalità che il mercato richiede. Oggi le competenze richieste cambiano di pari passo: la transizione digitale e quella verde richiedono nuove professionalità. La sfida è quindi creare e ampliare le competenze in campo digitale e ambientale e puntare sulla formazione sia di coloro che entreranno nel mercato del lavoro ma anche di chi è già occupato. Apprendere nuove competenze e migliorare quelle esistenti per svolgere mansioni più avanzate ci permetterà di governare le transazioni in atto, avere una occupazione di qualità e accrescere il potenziale delle nostre imprese. Orientamento e formazione, dunque, ma anche un sistema di politiche attive che veramente permetta l’incontro tra domanda e offerta. Ritengo che con il decreto 48/2023 si sia intrapresa la strada giusta per rendere più efficaci le politiche attive del lavoro prevenendo finalmente, tra le altre cose, la possibilità per tutti i soggetti, pubblici e privati, di interagire per arrivare ad un aumento dell’occupazione. È stato creato uno strumento informatico unico (Siisl) per avvicinare richiesta e offerta di lavoro, concepito per consentire l’incontro di tutti gli enti coinvolti. L’obiettivo è creare un “fascicolo elettronico” che riassuma la storia formativa, lavorativa, previdenziale e contributiva di ogni lavoratore a cui poter sottoporre proposte di impiego adeguate alle sue caratteristiche e competenze, sulle offerte di lavoro immediatamente disponibili, ma anche sui corsi di formazione».

Ma le competenze, una volta reperite, vanno anche mantenute.

«Occorre rivedere il nostro sistema di orientamento nel quale le famiglie giocano un ruolo fondamentale»

«Esattamente. Per questo sarà necessario che le imprese si dotino e offrano ai propri collaboratori piani di crescita e carriera ben definiti, sistemi di welfare integrativi, un’organizzazione del lavoro flessibile che tenga conto delle esigenze personali senza dimenticare di fornire ai propri dipendenti percorsi di formazione continua sia tecnica che di soft skills».

A cura di Numerica

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