Editoriale

Chiamiamo le cose brutte con il loro nome, solo così ne ritroveremo la bellezza

di Erminio Bissolotti

Quest’anno, l’economia dell’Unione europea crescerà solo dello 0,8% e nel 2024 dell’1,4%. Lo sostiene la Commissione europea e, per quanto riguarda l’inflazione, Bruxelles prevede che a fine 2023 cali al 6,5% e nel 2024 resti al 3,2%. È una piccola consolazione, che comunque non ci deve sottrarre a un impegno più urgente: è il momento di pensare al mondo che verrà. L’ultima correzione (al ribasso) delle stime di crescita del Vecchio Continente è dovuta all’indebolimento dell’economia, frenata dal calo della produzione manifatturiera, dal rallentamento delle esportazioni verso la Cina, dal ritiro di molte misure di sostegno pubblico stabilite durante la pandemia e dalla stagnazione dei consumi, condizionati appunto dall’aumento dei prezzi e dal rialzo degli interessi sui prestiti.

Sono state riviste al ribasso (-0,3%) anche le previsioni sul Pil dell’Italia, che nel 2023 crescerà dello 0,9% e nel 2024 dello 0,8%. Gli effetti si sono già riscontrati nel Bresciano: negli ultimi due trimestri si è registrata una flessione della produzione industriale dopo due anni a pieni giri che hanno consacrato il nostro sistema imprenditoriale tra le aree più produttive e virtuose d’Europa. Lo testimoniano anche i risultati dell’analisi realizzata dal GdB e dall’Università degli studi di Brescia, raccolti e commentati in questo inserto.

L’economia mondiale, nel frattempo, ha registrato un andamento leggermente migliore del previsto nella prima metà dell’anno. Tuttavia, le prospettive per quanto riguarda la crescita e il commercio a livello globale rimangono sostanzialmente invariate rispetto alla primavera: la nostra economia non potrà dunque contare su un forte sostegno della domanda esterna.

Quest’anno l’economia Ue crescerà solo dello 0,8% e nel 2024 dell’1,4%

Zygmunt Bauman (1925-2017), annoverato tra i maggiori pensatori dell’epoca contemporanea, sollecitava la necessità di denominare correttamente le cose del mondo in cui viviamo al fine di identificarle, riconoscerle, «condividerne sostanza e senso», dunque per porre le migliori basi alla loro comprensione. Bauman diceva che le cose esistono, «ma non basta indicarle». Per comprenderle, perché acquistino per noi un significato, siano discutibili e dunque siano oggetto di confronto, e di crescita, occorre che abbiano un nome.

Pertanto, se vi è l’urgenza di delineare un nuovo sistema economico almeno per i prossimi vent’anni, va innanzitutto definito un modello e vanno chiamate per nome tutte le cose negative che stanno mettendo a rischio il suo sviluppo: ad esempio una visione di breve periodo, i prezzi dell’energia alle stelle, l’eccesso di burocrazia che blocca innovazioni e infrastrutture, la carenza di lavoratori specializzati, la difesa di privilegi che limitano la concorrenza. L’Italia ha bisogno di riforme, di una strategia economica nazionale che faccia correre il motore della nostra manifattura.

La ricerca realizzata con l’Università di Brescia mette in evidenza lo stato di salute economica e finanziaria, alla fine del 2022, delle principali aziende bresciane di fronte a un orizzonte carico di incertezze, ma anche di grandi opportunità. I dati di questa diciottesima edizione dell’Inserto Bilanci hanno l’ambizione di supportare gli operatori economici e le istituzioni a calibrare le loro scelte future, ma anche di avvalorare quella cultura industriale che ha fatto della nostra provincia uno dei principali attori del sistema economico internazionale. La cultura industriale è una componente fondamentale nell’interpretazione del nostro Paese. È un elemento prezioso, legato alla storia di un territorio, al lavoro della sua gente, alla scoperta di nuove tecnologie, all’architettura d’impresa, ai progetti di marketing e a tante altre prospettive che possono risultare leve di sviluppo non solo per le aziende.

I nomi delle cose, tornando alla tesi di Zygmunt Bauman, ancor più quando diventano nomi di luoghi, sono quindi «contenitori» tanto piccoli nella forma quanto infiniti nella capienza di culture, sapienze, tradizioni, usi e costumi, storie grandi e belle o tristi e terribili, vicende umane, credenze, leggende, miti. Questo concetto lo espone meglio Paolo Rumiz nel libro «La leggenda dei monti naviganti» (per i tipi di Feltrinelli) e noi proviamo a sintetizzarlo così: diamo un nome alle cose brutte, solo così ridaremo loro bellezza. Se Brescia vuole crescere ancora deve trovare la consapevolezza del proprio valore, dando anche un nome ai suoi limiti.

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