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Il presidente Moretti: «L’impatto negativo dei rincari energetici pesa ancora sulla produttività»

Nonostante la pandemia, il 2021 è stato un anno positivo per il sistema produttivo bresciano. Rispetto all’esercizio precedente sono notevolmente migliorate le vendite, è cresciuta significativamente la redditività e la solidità finanziaria si conferma un punto di forza delle nostre imprese. Vi è tuttavia da rilevare che l’attuale fase congiunturale sia caratterizzata da diversi elementi di incertezza, a partire dai rincari energetici fino alle tensioni sociali generate dalla guerra in Ucraina. Congetture che pesano sui mercati e di conseguenza sulle aziende e i lavoratori.

Gianluigi Moretti, in qualità di presidente dell’Ordine dei Consulenti del lavoro bresciani e quindi godendo di un osservatorio privilegiato, quale scenario vede innanzi a sé?

«Il divario tra domanda e offerta di lavoro persisterà anche nel prossimo futuro»

«È vero, il 2021 rispetto al 2020 ha segnato un importante miglioramento, forse anche atteso visto che uscivamo dalla pandemia. Questa tendenza positiva si è confermata anche nella prima parte del 2022 e le imprese hanno registrato risultati molto positivi sui principali indici di bilancio e con buona probabilità chiuderanno l’anno in crescita anche sul 2021. Purtroppo, al rientro dalla pausa estiva abbiamo assistito ad un rallentamento della produzione. Noi consulenti misuriamo questo rallentamento attraverso l’uso degli ammortizzatori sociali, in particolare della cassa integrazione ordinaria. Se è vero che i dati relativi alla cassa del primo semestre 2022 erano positivi, l’impatto negativo dei rincari energetici ha pesato e continua a pesare sull’attività produttiva, con la conseguenza che a settembre e ottobre è cresciuto il ricorso alla cig. Ne risente un po’ tutto il settore manifatturiero, che si è trovato più che a sospendere le produzioni a lavorare ad orario ridotto, interrompendo l’attività per uno o due giorni la settimana per far fronte all’impennata dei prezzi dell’energia, alle difficoltà legate alle materie prime e al conseguente calo delle commesse. C’è da aggiungere che un uso modesto della cig incide in maniera relativa sulle retribuzioni dei lavoratori. Ad oggi non parlerei quindi di una crisi preoccupante e per il futuro tutto dipenderà dalla situazione geopolitica internazionale. Sicuramente il clima di incertezza frena le aziende negli investimenti e nelle assunzioni di nuovo personale».

Di fronte a questo scenario si apre una stagione nuova anche per il lavoro: secondo lei, il divario tra domanda e offerta continuerà ad aumentare?

«Ritengo che il divario tra offerta e domanda di lavoro persisterà anche nel prossimo futuro. Mai come in questo periodo imprese, attività commerciali e pubblici esercizi sono alla ricerca di personale. Del resto, quello della carenza dei profili è un tema che affligge il mercato del lavoro ormai da tempo. Il nostro mercato del lavoro sconta almeno due deficit strutturali: il disallineamento dell’offerta formativa rispetto alla richiesta di competenze e il cattivo funzionamento dei meccanismi di incontro tra domanda ed offerta. Ma sono tanti altri i motivi di questo mancato incontro: il fattore demografico per cui la popolazione in età di lavoro si è ridotta, il rifiuto di lavori a bassa remunerazione, l’aumento del numero dei percettori di sussidi pubblici, una revisione delle priorità di vita nel dopo pandemia. Infine c’è la tendenza, emersa proprio negli ultimi 2 anni, per la quale gli italiani sono molto più mobili nel lavoro. Hanno fatto scalpore i numeri del 2021 sulle dimissioni volontarie, che hanno raggiunto la quota record di quasi 1,9 milioni nel 2021, in aumento dell’11,9% sul 2019. Per risolvere il problema del mancato incontro tra domanda e offerta occorre intervenire rapidamente sulle tante variabili altrimenti il rischio è che entro il 2026 le aziende non riescano a rintracciare i profili necessari e che a fronte di un fabbisogno di circa 4,3 milioni di lavoratori, restino disattese 1 milione e 350mila ricerche di personale, così come emerge dall’indagine realizzata dalla nostra Fondazione Studi Nazionale».

Gianluigi Moretti

C’è un modo per «rimediare» al fenomeno del precariato?

«È inutile nascondere che oggi i lavoratori entrano nel mercato del lavoro con contratti di somministrazione, a tempo determinato o attraverso tirocini formativi meglio conosciuti come stage. Queste forme di flessibilità nella nostra provincia ritengo siano assolutamente fisiologiche e non patologiche, tant’è che la stragrande maggioranza di questi rapporti si trasformano in contratti a tempo indeterminato. Il mercato del lavoro negli ultimi anni si è rilevato un mercato dinamico, altalenante e ci sono situazioni che in alcuni momenti impongono alle aziende la flessibilità nell’utilizzo di personale. Per ridurre il fenomeno occorre sostenere chi offre lavoro: le aziende, gli alberghi, i ristoranti, i pubblici esercizi, i professionisti. Serve agire su tante leve: investimenti pubblici, cuneo fiscale, incentivi e, soprattutto, meno burocrazia, leggi chiare e procedure amministrative facili. Gli incentivi contributivi previsti per chi stabilizza i lavoratori vanno però semplificati. Gli ultimi interventi normativi sul tema hanno posto troppe condizioni per poterli sfruttare, con il risultato che pochissimi lavoratori avevano i requisiti e pochissime aziende li hanno usati».

Pensa che resti necessario un intervento sul cuneo fiscale per dare slancio alla produttività?

«La transizione digitale ed ecologica impone alle imprese grandissimi cambiamenti»

«Penso proprio di sì. Oggi in Italia il cuneo fiscale e contributivo sfiora il 50%, uno dei peggiori a livello internazionale. È da anni che si vuole ridurre il cuneo fiscale e contributivo in Italia ma nulla è mai stato fatto. Pare che adesso si stia imboccando la strada giusta con il taglio dei contributi Inps a carico dei lavoratori dello 0,8% stabilito per la prima parte dell’anno, aumentato al 2% per la seconda, senza penalizzazioni sul piano pensionistico. Serve ora confermare questa misura per il 2023, anzi se possibile migliorarla e ridurre il cuneo anche dal lato imprese. Bene agire sulla diffusione del welfare aziendale e sulla detassazione dei premi legati alla produttività. Per il 2022 vi è stato l’aumento del limite di esenzione fiscale e previdenziale dei fringe benefit arrivato a 3.000 euro, che includono le spese per le utenze domestiche, ai quali si aggiungono i 200 euro di buoni carburanti introdotti dal cosiddetto decreto Ucraina. Condivido quindi l’idea di confermare queste misure così come quella di innalzare il tetto e far leva sulla riduzione o sull’annullamento della tassazione dei premi di produttività. Mi auguro però che tutti gli interventi normativi futuri legati alla riduzione del cuneo, ma in generale a tutte le principali politiche del lavoro, siano chiari e semplici senza che si pongano troppi paletti altrimenti il rischio è quello di vanificarne gli effetti».

Che ruolo avrà negli anni a venire la formazione di ogni dipendente e delle aziende?

«Fondamentale! Oggi la transizione digitale e ecologica impongono alle imprese grandissimi cambiamenti. In un mercato del lavoro iperconnesso e in continua evoluzione non si può più prescindere da una formazione continua e questo a tutti i livelli della scala gerarchica dell’impresa. Le aziende per rimanere competitive devono investire sempre più nella formazione dei dipendenti. Formazione che per i lavoratori diventa indispensabile non solo per mantenere il proprio posto, ma anche per entrare nel mercato del lavoro poiché in futuro verranno richieste figure professionali sempre più qualificate. La formazione vista come riqualificazione professionale diventa altrettanto indispensabile per chi ha perso il posto di lavoro e intende rientrare nel mercato».

A cura di Numerica

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